LA LINGUA ITALIANA IN ESTONIA: AMATA NON INSEGNATA
A Tallinn in Estonia non ha sede un Istituto di Cultura Italiana e nemmeno un addetto culturale presso l’Ambasciata. Vi è solo un lettore presso l’università di Tartu (dove ha insegnato nel 1938 Indro Montanelli). La lingua italiana non è insegnata in alcuna scuola estone, anche se la domanda di lingua italiana, da parte delle popolazione adulta, risulta piuttosto rilevante. Alcune scuole sarebbero disposte a inserire nei loro programmi l’insegnamento dell’italiano come lingua straniera, previo contriguto finanziario dello Stato italiano. Purtroppo i fondi a disposizione della nostra ambasciata per le iniziative culturali, stanziati dal Ministero, hanno sommato 13.000 euro per il 2009, destinati a subire un taglio per il 2010.
CRISI ECONOMICA MONDIALE:
LA FOLLIA NEOLIBERTISTA DELLA LETTONIA
di Michael Hudson – Jeffrey Sommers
Fonte: Come Don Chisciotte
Mentre la maggior parte della stampa mondiale si concentra sulla Grecia (e anche su Spagna, Irlanda e Portogallo) come la zona euro più in difficoltà, la più grave, devastante e assolutamente più micidiale crisi nelle economie post-sovietiche programmate per entrare a far parte dell’Eurozona è sfuggita in qualche modo all’attenzione generale.
E’ senza dubbio così perché la loro esperienza è un’accusa dell’orrore distruttivo del neoliberismo – e della politica dell’Europa di non trattare questi paesi come promesso, non aiutandoli a svilupparsi secondo delle linee dell’Europa occidentale ma come zone da essere colonizzate per essere mercati di esportazione e mercati bancari, spogliate dei loro attivi di bilancio, dei loro lavoratori qualificati e più in generale della loro manodopera in età lavorativa, del loro patrimonio immobiliare e dei loro edifici, e di qualsiasi altra cosa ereditata dal periodo sovietico.
La Lettonia ha subito una delle peggiori crisi economiche del mondo. Non si tratta soltanto di una crisi economica, ma anche di una crisi demografica. Il suo crollo del PIL del 25,5 per cento solamente negli ultimi due anni (quasi il 20 per cento lo scorso anno) è già la peggior flessione mai registrata in un periodo di due anni. Le rosee previsioni del FMI anticipano un’ulteriore decrescita del 4 per cento, il che collocherebbe il tracollo economico lettone davanti alla Grande Depressione degli Stati Uniti. Ad ogni modo, le brutte notizie non si fermano qui. Il FMI stima che il 2009 vedrà un disavanzo totale dei conti dei capitali e e dei conti finanziari per 4,2 miliardi di euro, e altri 1,5 miliardi di euro (equivalenti al 9 per cento del PIL) lasceranno il paese nel 2010.
Inoltre, il governo lettone sta rapidamente accumulando debito. Dal 7,9 per cento del PIL nel 2007, si stima che il debito della Lettonia arriverà al 74 per cento del PIL per quest’anno, stabilizzandosi presumibilmente,nello scenario migliore ipotizzato del FMI, all’89 per cento nel 2014. Questo la collocherebbe ben oltre i limiti del debito imposti da Maastricht per l’adozione dell’euro. Tuttavia, l’entrata nell’Eurozona è stato il principale pretesto della banca centrale lettone per le misure di austerità lacrime e sangue necessarie per mantenere il suo ancoraggio al tasso di cambio. Ma la tutela di questo ancoraggio ha bruciato montagne di riserve di valuta che altrimenti sarebbero state investite nell’economia nazionale.
Tuttavia nessuno, in Occidente, sta domandando perché la Lettonia abbia subito questo destino, così caratteristico nelle economie baltiche e nelle altre economie post-sovietiche ma solo un po’ più estremo. A quasi vent’anni di distanza dalla conquista della libertà, nel 1991, dalla vecchia Unione Sovietica, difficilmente si può incolpare il sistema sovietico come l’unica causa dei loro problemi. Inoltre non si può dare la colpa solamente alla corruzione – un retaggio dell’ultima fase della dissoluzione sovietica, per essere precisi, ma ingrandito, intensificato e addirittura incoraggiato nella forma cleptocratica che ha fruttato grossi raccolti ai banchieri occidentali e agli investitori. Sono stati i neoliberisti occidentali a finanziare queste economie con le loro “riforme per favorire le attività commerciali”, così tanto osannate dalla Banca Mondiale, da Washington e da Bruxelles.
Ovviamente sarebbero auspicabili livelli inferiori di corruzione (di chi altri si fiderebbe l’Occidente?) ma una sua forte riduzione potrebbe forse solo portare le cose al livello dell’Estonia che sta intraprendendo il cammino verso la schiavitù dell’euro-debito. Tutti questi paesi baltici confinanti hanno sofferto allo stesso modo problemi di disoccupazione, crescita ridotta, qualità in calo dei servizi sanitari e di emigrazione, in netto contrasto con Scandinavia e Finlandia.